Pubblicato in: November reading, Romanzo breve

Uno, non toccare le lancette. Due, domina la rabbia. Tre, non innamorarti, mai e poi mai…

La meccanica del cuore (La Mecanique du Coeur)

Mathias Malzieu

2012, Feltrinelli

Piccola stella, Ultimo

Buonasera readers,

stasera fuori dalla mia finestra è calata piano piano la nebbia, ha ammantato tutto, complice silenziosa del freddo fra l’odore della prima legna bruciata e uno spicchio di luna sfuocata. Mi sono ritrovata ad annegare nella malinconica, forse per colpa di una meteoropatia mai diagnosticata, forse perché ho appena sollevato lo sguardo dalla Meccanica del Cuore di Mathias Malzieu. Mi ha assalito la consapevolezza che forse servirebbero sui nostri comodini, fin da quando si è abbastanza grandi per capire, molte più fiabe come quella che ci racconta Malzieu. Non tutte le favole dovrebbero avere il lieto fine, perché ci lasciano sognare ad occhi troppo aperti senza ricordarci la verità. La verità, cruda e pura, è che qualche volta il principe non bacia la principessa, che alle volte la principessa non si sveglia, che a volte il Bene non prevale sul Male ma semplicemente rimangono lì in una forma stasi.

Il 16 aprile del 1874 il gelo stringe Edimburgo nella sua morsa. La notte in cui viene al mondo Jack è la più fredda del mondo e il suo cuore non batte, è ghiacciato. Madaline, una dottoressa inventrice che aggiusta le persone, lo opera urgentemente e gli impianta un orologio a cucù sul muscolo fermo, rianimandolo. Così Jack apre gli occhi al mondo, fra le braccia della donna che lo sceglierà come figlio e con il ticchettio dell’orologino nel petto. La sua vita sembra procedere come quella di ogni bambino, con in aggiunta piccole chicche di stranezze, come Arthur il vecchio barbone dall’incedere zoppicante a cui Madaline ha “trapiantato un pezzi di colonna vertebrale musicale con le ossa accordate” , o le due prostitute che fumano “strane sigarette”. Il giorno che Jack per la prima volta riesce ad andare in città accadono due cose importanti: conosce l’amore della sua vita, una piccola cantante spagnola miope e il suo orologio sembra volersi stapparsi dal suo petto. Le regole sono chiare:

Uno, non toccare le lancette. 

Due, domina la rabbia. 

Tre, non innamorarti, mai e poi mai. 

Eppure Jack sente che persino la morte sarebbe più accettabile che convivere con la possibilità di non vedere più la ragazzina. Da quel momento avrà un solo scopo e un solo sogno quello di ricongiungersi a lei e di passare con lei tutta la vita. Intraprenderà, quindi, un viaggio che lo condurrà lontano da dove è nato e da chi è sempre stato, fino a comprendere la verità più dura di tutte. Per diventare adulti bisogna saper rinunciare alle idee confortevoli dell’infanzia, servono sacrifici che possono trasformarci inevitabilmente per sopportarli.

Il romanzo è breve, scorrevole, facile, incisivo. Non amo molto sottolineare i libri perché di solito sono troppo immersa nella lettura per ricordarmi di afferrare una matita, eppure mi sono ritrovata, in questo caso particolare, a sottolineare la maggior parte delle frasi. Trasudavano musicalità ed emotività e meritavano di essere evidenziate.

La favola di Malzieu, vi anticipo, non ha il suo Lieto Fine, il The End, gli uccellini che calano il sipario. Finisce semplicemente così come era iniziata: in silenzio. Il mio articolo potrebbe far desistere, di questo sono consapevole, ma che ci volete fare la sincerità è un po’ un bagaglio ingombrante ed io sinceramente ve la consiglio con tutto il cuore, sperando che vi faccia riflettere nel piccolo lasso del vostro tempo che le dedicherete.

Una malinconica Bibliotecaria

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Pubblicato in: November reading, Romanzo breve

Mi sono adagiata e ho dormito

Madaline  Miller

Galatea

Sonzogno, 2021

Autumn Walk, Brad Jacobsen

35f848_9da1e92b8bbc4af285f32b876b5d4b5d~mv2Buongiorno readers, 

la mia lettura di Galatea è il frutto del passaparola di un’amica, che estasiata me lo ha consigliato. Conoscevo già la Miller nella sua “La canzone di Achille”, emozionante e travolgente e nella “Circe”, la maga dell’Odissea di cui l’autrice ci regala un ritratto struggente. Ma Galatea… Galatea è sicuramente tutta un’altra storia…

Se posso permettermi, è un’esperienza che trascende il semplice romanzo. Nella sua brevità non risulta scontato, anzi ti scorre sotto le dita, incredibilmente semplice e profondo. Rimani estasiato nel ricercare tracce della storia che hai appena letto nelle raffigurazioni che riempiono la pagina. Le immagini sono sapientemente costruite, accostando magistralmente tonalità scure e chiare, suggerendo la dicotomia, il profondo dissidio che regna sovrano, come una nube, sull’intero racconto. Galatea è infatti la rilettura in chiave moderna del mito di una donna che donna non era nata, che donna era diventata per soddisfare i desideri di un uomo mortale, che non l’ha saputa amare perché incapace di amare. Pigmalione, infatti, non l’ha mai amata come si ama un essere vivo e senziente, ma piuttosto come si ama un oggetto, possedendo tutto di lei, lasciandola senza voce, vittima di un teatrino ripetuto in continuazione, strappata da ogni cosa che lei possa sentire come sua, privata della sua identità. 

Lei ha memoria del suo essere di pietra, del suo essere statua. D’altronde è nata solo undici anni prima dei fatti narrati, come capriccio di una dea che ha voluto soddisfare un uomo mortale. Galatea non conosce in principio che l’amore perverso di Pigmalione, che la sfrutta, la stupra. Poi da alla luce Pafo, la sua stella, il suo amore, la bambina che portava in grembo dal suo primo respiro e la sua voce inizia ad alzarsi piano piano. Galatea è disposta a tutto per Pafo ed è così che conosce l’amore, quello puro, quello vero, quello incondizionato, quello che sottintende, in ogni gesto e in ogni parola, “il per sempre” delle fiabe. 

La narrazione inizia in medias res. Galatea è imprigionata in una clinica, un prigione sotto mentite spoglie a picco sul mare, la sua finestra è troppo stretta e alta e lei è costantemente sedata. Forse è per questo che il medico e le infermiere, nonostante la montagna d’oro di cui li sommerge Pigmalione, abbassano la guardia. Così Galatea, scappa e corre, corre per riuscire a salvare il suo amore, corre tessendo un inganno al marito. Questi, accecato dalla bramosia di poterla controllare, la rincorre, la ghermisce, cerca di riportarla a sé ma Galatea, esprime il suo ultimo desiderio, si avviluppa a lui e torna ad essere fredda pietra trascinandolo nel silenzio degli abissi. 

Così la Dea rimedia al torto fatto undici anni prima, così Galatea dà la sua stessa vita per salvare quella della figlia, così l’equilibrio viene ristabilito.

Con i brividi per la forza con cui il messaggio mi raggiunge mi rendo conto di come sia attuale il racconto della Miller, di come ancora il mito greco possa descrivere certe situazioni forse in modo ancora più efficace, che i mille orpelli, i giochi stilistici o gli esercizi di retorica. 

Concludo con le stesse parole del libro perché nulla è più incisivo e silenzioso di queste parole:

Siamo precipitati nell’oscurità, e il freddo mi è corso su per il collo sbiadendomi le labbra e le guance.

Ho pensato a Pafo, a quanto fosse intelligente.

Siamo piombati giù tra le correnti, e allora ho pensato ai granchi che sarebbero arrivati, attratti da lui, arrampicandosi sulle mie spalle esangui.

Il fondo dell’oceano era sabbioso e morbido come un cuscino.

Mi sono adagiata ed ho dormito”

La vostra Bibliotecaria35f848_9da1e92b8bbc4af285f32b876b5d4b5d~mv2